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ToggleSe non l’avete mai fatto non sapete cosa vi perdete! Tanti di noi hanno sentito ripetere questa frase almeno una dozzina di volte, se non addirittura un centinaio nella propria vita. Ma siamo sicuri che sia un affermazione veritiera? Quale correlazione rende la cannabis funzionale al sesso? E il CBD influisce sulla prestazione?
In un film cult degli anni ’70 di Woody Allen, “Io e Annie”, Annie ama fumare cannabis prima di fare sesso perché dice che la rilassa. Il suo compagno, al contrario, detesta l’abitudine di lei perché sostiene che annulli il bello dell’atto sessuale. Voi da che parte state? Vi sentite più Annie o simpatizzate per l’idea del suo compagno?
Proveremo a prendere in prestito alcune riflessioni dalla nostra amata e odiata scienza che anche in questo caso ci verrà in soccorso, non per dirci la sua verità ma per mettere in evidenza qualche indicazione utile in merito all’argomento.
Le culture, nella storia dell’umanità, hanno tramandato storie sulla cannabis e sulle sue proprietà afrodosiache da epoche immemori. La tradizione indù del tantra, già migliaia di anni fa, credeva nel potenziale della marijuana incorporata in una serie di posizioni come veicolo divino per la pratica sessuale. In quanto esseri umani e quindi, prima di tutto, “socius”, ovvero esseri sociali e culturali, dovremmo ritenere che un fondo di verità ci sia dietro a tante storie simili tramandate da generazioni.
Probabilmente è così, però il nocciolo di questo articolo sarà comprendere, al di là delle sensazioni personali, se esiste un legame reale (in positivo o in negativo) tra gli effetti indotti dalla cannabis e dalla sostanza del cbd al desiderio sessuale.
Innanzi tutto bisogna sottolineare che persino per la scienza è difficile fare ricerche in questo ambito, perché la legge vieta la possibilità di far amministrare droghe a esseri umani a scopo di ricerca, a meno che non ci sia stato il benestare del comitato etico di riferimento (che spesso boccia richieste del genere).
Per cui la maggior parte degli studi scentifici a cui ci riferiamo sono stati sviluppati e considerati attraverso un campionario (ovviamente molto ampio) di intervistati sui quali però i test effettuati non hanno seguito un iter scientifico di tipo “standard”.
In tal senso uno dei primi studi pubblicate risale al 1984: da questa serie di interviste condotte attraverso un metodo e un approccio il più fedele possibile a quello scientifico, risultava che il 58% che facevano uso di cannabis miglioravano il proprio orgasmo; solo il 32% delle donne ammetteva lo stesso risultato. In entrambi i casi si evidenziava un miglioramento generale della prestazione sessuale e delle sensazioni mentali e tattili. Anche in studi più recenti, pubblicati tra il 2003 e il 2008, i gruppi di ricerca (entrambi statunitensi) hanno evidenziato che il THC essendo un ausilio per migliorare le sensazioni di relax e buon umore, infonderebbe un maggiore gradimento all’atto sessuale.
In un ulteriore studio, sempre americano, datato 2010, si mette in evidenza come anche la dilatazione del tempo, che è una delle conseguenze psicotrope dovute all’assunzione di marijuana, infonde una percezione maggiore della durata della prestazione, dando l’impressione di un rapporto più soddisfacente.
Il Dott. Lester Grinspoon, professore in pensione della Harvard Medical School, noto come “il nonno della moderna ricerca sulla cannabis medicinale”, insieme al Dott. Mitch Earleywine, professore di psicologia alla State University di New York ad Albany, sostengono che il recettore CB1 (su cui agisce il CBD) sembra migliorare le sensazioni tattili e di euforia generale.
Questo determinerebbe in buona parte, il motivo del perché percepiamo l’atto sessuale più soddisfacente se messo in pratica sotto gli effetti della cannabis. I due professori sostengono anche che la varietà dei ceppi di marijuana, l’equilibrio del THC e di altre sostanze chimiche, può alterare i risultati.
Ciò significa che anche l’assunzione di cannabis legale, con un tasso di THC inferiore al 0,5% e ad alto dosaggio di CBD, possa influenzare in modo positivo l’esperienza sessuale.
La motivazione logico-deduttiva è che il CBD fa effetto diretto sul sistema endocannabinoide del corpo, ovvero un complesso che parte del sistema nervoso che consiste nel legame dei recettori CB1 (citato qualche riga sopra) e CB2, a cui il CBD si collega come una sorta di chiave agendo direttamente sui vari processi fisici e mentali.
In più, qui mancherebbe la concetrazione di tipo psicotropo data dal THC che crea sensazione particolari e soggettive, con conseguenzi felici per alcuni e infelici o di paranoia per altri.
Quindi assumendo prodotti di cannabis light il risultato sembrerebbe cambiare in meglio: un recente sondaggio condotto su 1.000 persone dal portale Remedy Review, un sito web dedicato alla medicina naturale, ha rilevato che il 68% di coloro che hanno provato un prodotto a base di CBD prima di fare sesso ha dichiarato che l’assunzione ne ha migliorato l’esperienza.
Se paragonata alle percentuali precedenti, la cannabis legale batte quella non legale sotto questo punto di vista. Come spiega la dotteressa Olivia Rose (advisor per Remedy Review), il cbd riduce naturalmente lo stato d’ansia dettato dal momento prestazionale. Inoltre il CBD funziona anche come stimolatore del desiderio e degli stati di eccitazione; assunto per via tradizionale, come crema, olio o unguento, agisce anche localmente aiutando la dilatazione dei vasi sanguigni. Ciò favorisce una maggiore stimolazione sessuale.
Bisogna evidenziare anche il pensiero di tanti esperti del settore (medici, sessuologi, psicoterapeuti) che ammoniscono sull’uso della sostanza, non tanto per gli effetti dovuto al CBD, ma per eventuali interferenza dovute al THC: l’uso dei cannabionoidi può dare esisti diversi a seconda di chi ne fa uso. Altra varibile molto importante è la concentrazione, appunto, di THC, ovvero la sostanza psicoattiva presente nella cannabis. Nella cannabis light il THC è presente, per legge, in quantità non superiori al 0,5%.
L’assunzione costante e ad alta concentrazione di THC, fa si che dai polmoni la sostanza si sedimenti nel sangue, arrivando anche in varie aree del cervello.
Il rischio è che la sostanza psicoattiva interferisca sulle aree deputate alle funzioni di memoria, movimento e piacere, depositandosi a livello neuronale in quantità rilevanti. Questo può provocare uno stato sensibile di apatia che i ricercatori Smith e Seymour, nel 1982, hanno definito con il nome di “sindrome amotivazionale”. Le caratterisitche di tale sindrome sarebbero, oltre alla già citata carenza di interesse sessuale, la propensione a sviluppare dinamiche di vita passiva e l’introversione sociale.
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